Fucsia

Il fucsia è il colore scelto dal movimento "Non Una Di Meno" in Italia. È un colore sgargiante, luminoso e forte che esaspera e ingloba lo stereotipo del rosa che, per secoli, ha costruito l'identificazione femminile imposta alle ragazze.

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Di Cristiana Scoppa

Per il movimento transfemminista Non Una Di Meno il fucsia include altre identità di genere, di altri orientamenti sessuali, più fluidi e transitanti tra il maschile e il femminile, che con le donne condividono l’oppressione da parte della cultura patriarcale dominante.

Da quella immensa prima manifestazione che il 25 novembre del 2015 attraversò il centro di Roma al grido di “Non una di meno”, ovvero “Ci vogliamo vive”, piazzando sotto i riflettori l’esasperazione delle donne per il numero costante di femminicidi che non accennava, né accenna, a diminuire, molte cose sono cambiate. Sempre nei toni del fucsia.

Fucsia sono stati i pañuelos che hanno fatto la loro comparsa al collo, al polso, sui capelli di coloro che manifestavano il 25 novembre del 2018, dopo che in Argentina nel corso dell’estate e in tinta verde brillante erano diventati il simbolo scelto da Ni Una Menos in lotta per la legalizzazione dell’aborto.

Tematica, quella del diritto a interrompere una gravidanza non desiderata in sicurezza e senza sofferenza, che è diventata anche parte delle rivendicazioni del movimento Non Una Di Meno italiano, a fronte delle sempre maggiori limitazioni nell’applicazione della legge 194 (le legge che regolamenta l’aborto in Italia) generate dalla massiccia obiezione di coscienza di ginecologi, anestesisti, farmacisti, e della crescente influenza dei cosiddetti “movimenti per la vita” nelle regioni governate dalle destre.

Da allora i pañuelos fucsia non mancano mai, qualsiasi sia il tema intorno al quale Non Una Di Meno decide di scendere in piazza.

Fucsia sono state poi le “zone”: un progetto di mappatura dei “luoghi delle donne”, le “zone fucsia” appunto, presenti e vive nelle pieghe delle città, e di riconfigurazione degli spazi urbani – attraverso azioni performative, flashmob, canti, balli, interventi di street art e altro – per riconquistarli all’attraversamento e alla sosta libera delle donne e di tutte le soggettività. Una pratica politica nata per contestare la retorica che vuole che una donna vittima di molestie e violenza in strada “se la sia cercata”, per il semplice fatto di non essersi rintanata in casa dopo una certa ora. Perché, come hanno scritto sui muri le attiviste del collettivo Le cagne sciolte di Roma, “le strade sicure le fanno le donne che le abitano”. In attesa che le città diventino tutte una immensa “zona fucsia”.
Più recentemente sono arrivate le “sanzioni fucsia”: esposizione e condanna a mezzo social, manifestazione, sit in, flashmob, comunicato stampa, eccetera, dell’operato delle istituzioni che perpetuano la violenza, la discriminazione e l’oppressione non solo contro le donne, ma anche contro le persone LGBTQIA+, contro le persone originarie di altri paesi, contro gli animali e le altre specie viventi.

La “sanzione fucsia” è stata comminata dapprima al governo di Andorra, in solidarietà con il movimento delle donne di questo micro stato, per la sua ostinazione a non legalizzare l’interruzione di gravidanza. E qualche settimana fa è stata la volta del Liceo Righi di Roma, dove sono stati gli/le stessi/e allievi/e – di qualsiasi genere e orientamento sessuale – a fare propria questa pratica politica inventata da Non Una Di Meno, srotolando uno striscione fucsia sulla scalinata d’ingresso e indossando shorts, minigonne (anche i maschi), top e ciabatte, per criticare l’uso di stereotipi e pregiudizi sessisti da parte di una delle insegnanti.

La docente in questione si era permessa di rimproverare una studentessa che indossava un top che scopriva l’ombelico dicendole: “Mica stiamo sulla Salaria!”. La via Salaria è la strada statale (costruita originariamente dagli antichi romani per collegare Roma con il porto di Ancona sul Mare Adriatico) che nel suo tratto urbano è uno dei luoghi della prostituzione di strada a Roma. Un doppio senso molto pesante, in nome del dress code adottato dal liceo Righi che la ragazza aveva infranto.
Come se non bastasse, confrontata dalla studentessa davanti alla preside su cosa avrebbe detto a un maschio vestito in maniera non conforme al regolamento scolastico, la docente aveva risposto: “Mica stiamo al mare”. Ovvero: i maschi assimilati a bagnanti, le femmine a prostitute. Da qui la presa di posizione dei collettivi studenteschi che hanno sanzionato – in fucsia – il sessismo. Il fatto che i/le giovani lo consideri intollerabile è davvero un bel segnale.

Anche questo 8 marzo Non Una Di Meno ha invitato ad aderire a quello che è stato ribattezzato “sciopero fucsia”, ovvero un’astensione volontaria non solo dal lavoro retribuito, ma anche da tutte quelle pratiche – a cominciare dal lavoro domestico, invisibile e non retribuito, o dai consumi – che sono legate a ruoli di genere stereotipati, e che nell’appello del movimento suona “sciopero dei e dai generi, sciopero dei e dai consumi”.
Nella pratica dello sciopero dell’8 marzo promosso da Non Una Di Meno si rinsaldano i filoni di riflessioni femministe che hanno animato il dibattitto di questi mesi, contrassegnati da una forte critica al modello economico e sociale di tipo capitalista che la pandemia non sembra aver scalzato, anzi.

Per ora lo sciopero si scontra con forti resistenze soprattutto da parte dei sindacati confederali – CGIL, CISL e UIL, che raccolgono la maggioranza dei lavoratori e delle lavoratrici italiani – e senza la copertura sindacale astenersi in massa dal lavoro significa incorrere facilmente in sanzioni disciplinari. Ma le attiviste non demordono.

Se l’8 marzo deve essere di un colore, questo non può che essere il fucsia.

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