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Il 20 agosto Meta, l’azienda tecnologica statunitense proprietaria di Facebook, ha chiuso il gruppo Mia moglie per via di una violazione della sua politica contro lo sfruttamento sessuale delle persone adulte. Lì 32mila uomini condividevano fotografie intime di compagne, sorelle, amiche senza il loro consenso commentando con apprezzamenti osceni intrisi di odio misogino e invitando gli altri iscritti a fare altrettanto. Creato nel 2019 ma rimasto inattivo fino a maggio 2025, il gruppo era già stato segnalato in precedenza, ma per gli amministratori non violava le linee guida del social network e anche i successivi solleciti alla Polizia postale italiana erano risultati vani. Grazie a un post su Instagram nel quale la scrittrice femminista Carolina Capria denunciava l’esistenza del gruppo, il 18 agosto il caso è stato arrivato al grande pubblico. La notizia ha fatto in poche ore il giro del web e solo allora il gruppo è stato rimosso. “Non permettiamo contenuti che minacciano o promuovono la violenza sessuale, l’aggressione sessuale o lo sfruttamento sessuale sulle nostre piattaforme”, ha dichiarato un portavoce di Meta.
Eppure questo non è un caso isolato: nel 2017 fu chiuso Babylone 2.0, un analogo gruppo francofono, e nel 2024 l’organo di osservazione semi-indipendente di Meta esortava l’azienda a contrastare più efficacemente la diffusione di deepfake, ossia montaggi fotografici realizzati con l’intelligenza artificiale con immagini di nudo non consensuale.
Migliaia di foto di donne pubblicate a loro insaputa circolano su internet
“Oggi ho scoperto di essere nel gruppo Mia moglie. Non sapendone assolutamente nulla. Lui si è giustificato dicendo che fosse soltanto un gioco. Abbiamo 2 figli e 10 anni di matrimonio alle spalle […] Mi sento spezzata in due”, ha scritto nella community Alpha Mom una delle vittime di quel girone infernale. “Ho visto sul gruppo Facebook le foto del mio corpo nudo e sotto dei commenti agghiaccianti. A diffondere quelle immagini è stato mio marito. Ho provato ribrezzo, sconforto, paura”, ha raccontato un’altra moglie ignara.
L’avvocata Annamaria Bernardini de Pace vorrebbe avviare una class action per difendere tutte le donne coinvolte nella vicenda e chiedere un risarcimento danni a Facebook. “È stato violato il principio costituzionale che tutela l’identità e la dignità della persona e, in particolare, è stata ferita con violenza, con l’uso brutale di quelle immagini, l’identità femminile”, ha dichiarato, spiegando che sul fronte penale si potrebbero contestare i reati di revenge porn, stalking, violenza e molestia, violazione della privacy e istigazione a delinquere.
“Senza scelta non c’è intimità, ma violenza”, ha precisato la consigliera nazionale dell’Associazione Donne in Rete contro la Violenza, Anna Agosta, definendo l’accaduto non un atto di goliardia né un tradimento privato ma “uno stupro reiterato della dignità delle donne” legittimato da migliaia di complici “che, invece di riconoscere l’abuso, lo trasformano in uno spettacolo agghiacciante”.
I crimini sessuali veicolati da strumenti tecnologici, i “digital sex crimes”, hanno tutti come comune denominatore la mancanza di consenso: postare immagini intime all’insaputa del soggetto ritratto è un modo per misurare il proprio status e acquisire “alpha-credibility” nel gruppo dei pari, esasperando quella mascolinità tossica intrisa di patriarcato e cultura dello stupro.
Nel far west degli stupri virtuali

Dopo la rimozione del gruppo, l’attenzione si è postata sul sito Phica.eu che con 720mila iscritti, 600mila accessi al giorno e oltre 20 milioni di visite al mese dal 2005 offriva un enorme archivio fotografico di donne di ogni età, persino bambine e anziane. Molte erano sconosciute immortalate di nascosto nei centri estetici, nei camerini di negozi o palestre, ma c’erano anche video registrati dalle microcamere dei bagni pubblici, degli spogliatoi e degli uffici. Numerose anche le influencer, le attrici, le giornaliste e le politiche, tra cui la prima ministra Giorgia Meloni che si è detta “disgustata” dalla vicenda.
Gli utenti? Come gli imputati del processo Mazan si tratta di insospettabili uomini “comuni” che nel tempo libero condividevano indisturbati le proprie depravazioni sessuali, salvo poi implorare la cancellazione dei propri account dal sito, ora chiuso anche grazie alla pressione popolare.
Ma la rete è ancora piena di scatti di donne pubblicati a loro insaputa: “Non serve aggirarsi nel dark web o essere un hacker”, scrive la giornalista Eugenia Nicolosi. “In Italia le fotografie di minori, i video di mogli e sorelle ignare, quelli di stupri o rubati dalle spycam sono costante oggetto di conversazioni e baratti su Telegram e siti internet: organizzatissimi far west traboccanti di immagini violente e abusi verbali, dove l’incesto è un gradito divertissement e l’apologia dello stupro una consuetudine”. I più richiesti sono i video pedopornografici deepfake, prosegue Nicolosi, molti disponibili su “La Bibbia”, un’affollatissima chat di Telegram nella cui “Private Room” è tuttora possibile visionare centinaia di violenze sessuali.
La ferocia del risentimento degli uomini
Secondo uno studio della Commissione Europea condotto dal Radicalisation Awareness Network, dopo Germania, Francia e Svezia, l'Italia è il quarto paese dell’Unione per numero di Incel (involuntary celibate, celibi involontari), misogini che promuovono l'anti-femminismo con linguaggi violenti e atti persecutori. Il fenomeno appartiene al più ampio e complesso fenomeno della Manosfera, che trova terreno fertile su piattaforme come Phica.eu e Mia Moglie.
“Il patriarcato è in crisi. E si vendica”, ha commentato la sociologa Anna Simone. “Un tempo gli uomini potevano escludere dalla scena pubblica le donne, e quindi potevano esercitare su di loro un potere. Oggi la situazione è cambiata, ma purtroppo la libertà femminile acquisita ha generato una sorta di risentimento generale da parte del maschile nei confronti delle donne, e questo risentimento si concretizza nella violenza, fisica, psicologica o simbolica. […]Come accade tra gli animali, il branco serve a darsi forza reciproca sulla base però di una debolezza, di una fragilità individuale. È una conseguenza della vigliaccheria”.

