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La mostra “Roma pittrice, artiste al lavoro tra XVI e XIX secolo”, ospitata da Palazzo Braschi tra ottobre e maggio, ha presentato 130 opere di 56 pittrici, scultrici e architette, italiane e straniere che hanno vissuto e lavorato nella città eterna tra il Cinquecento e l’Ottocento.
Completamente assenti nei documenti ufficiali e impossibilitate a frequentare le grandi botteghe capitoline, accessibili solo agli uomini, queste donne talentuose e determinate hanno realizzato lavori di grande pregio finora rimasti nell’ombra.
“Essere artiste nella Roma del Cinquecento non era semplice: bisognava essere almeno sorelle, madri, mogli, cognate di una famiglia di pittori perché l’atelier degli uomini di solito non riceveva le donne e soprattutto le artiste non potevano studiare dal nudo”, spiega la curatrice Raffaella Morselli. Eccetto alcune fortunate eccezioni, come la pittrice bolognese Lavinia Fontana e la famosissima Artemisia Gentileschi, considerata una femminista ante litteram per i suoi quadri di denuncia della violenza maschile, da lei stessa subita, la mostra mette, infatti, in risalto autrici perlopiù sconosciute al grande pubblico.
Armate di pennelli, tavolozze, colori e cavalletti, Amalia De Angelis, Ida Botti, Giustiniana Guidotti ed Emma Gaggiotti, solo per citarne alcune, si mostrano per la prima volta in potenti ritratti e autoritratti realizzati nei loro atelier romani o nei conventi dove si rinchiudevano per potersi dedicare all’arte. Dalle fonti ritrovate negli archivi, dalle note personali trascritte nei diari e da alcune corrispondenze private è emerso che molte si conoscevano e collaboravano tra loro: Artemisia Gentileschi, per esempio, viaggiò con Giovanna Garzoni e fu ritratta da Maddalena Corvini. Le ricerche hanno, inoltre, portato alla luce importanti notizie inedite, come la stretta parentela tra la pittrice Anna Stanchi e l’omonimo nucleo famigliare: i celebri naturamortisti di via Paolina. Benché i suoi fratelli fossero frequentemente citati negli inventari, il suo nome non è mai stato rintracciato, pur trattandosi della secondogenita ed essendo dotata di un talento straordinario, come dimostrano le sue magnifiche tele con ghirlande floreali.
Un altro emblematico esempio della discriminazione subita dalle artiste è Emma Gaggiotti, come racconta Ilaria Miarelli Mariani, direttrice dei Musei civici della sovrintendenza capitolina e curatrice della mostra insieme a Morselli. “Partiamo da un’opera che viene dal museo di Roma e che abbiamo scelto come immagine guida, che è l’esempio di come una pittrice come lei, importantissima nella sua epoca, attiva nei moti risorgimentali, attiva alla corte della Regina Vittoria, alla corte dell’Imperatore Guglielmo I, attiva alla corte di Napoleone III e con un attivissimo atelier a Roma, adesso sia completamente dimenticata”.
“Essere artiste nella Roma del Cinquecento non era semplice: bisognava essere almeno sorelle, madri, mogli, cognate di una famiglia di pittori ”

Nel tempo si assiste a una progressiva affiliazione delle artiste più note presso le grandi Accademie, come quella di San Luca, che aprirà alle donne nel 1607 seppur con qualche limitazione rispetto agli allievi maschi. Ma, soprattutto, viene gradualmente concessa loro la possibilità di affrancarsi dai generi pittorici considerati più femminili, come il ritratto, per rivolgersi a una committenza più ampia e variegata.
Non potendo accedere agli studi dal vero, le pittrici erano solite ritrarre, infatti, prevalentemente loro stesse, i propri parenti e nature morte, coltivando uno spiccato interesse scientifico per il mondo vegetale e animale. Oltre a Stanchi, ne sono un esempio anche Giovanna Garzoni e Laura Bernasconi, detta “dei Fiori”, per la sua predilezione botanica e per aver studiato con il famosissimo pittore Mario Nuzzi “dei Fiori”. Altre, invece, si sperimentarono nell’architettura, come la poliedrica Plautilla Bricci, altre ancora nell’incisione. Nel Settecento, con l’aumento della presenza di grandtourists, si moltiplicarono anche le commissioni di miniature di capolavori antichi e moderni, più facilmente trasportabili da chi era in viaggio: quelle di Maria Felice Tibaldi erano tra le più richieste. Un altro genere molto apprezzato era il paesaggio: le acqueforti a tema bucolico di Laura Piranesi, amatissime dagli acquirenti inglesi, furono, tuttavia, quasi del tutto ignorate dalla critica.
La sezione dedicata al paesaggio ospita diverse opere a tema bucolico realizzate nella campagna romana. Foto di F.Araco.Dall’Ottocento le donne furono ufficialmente ammesse ai corsi delle accademie di Belle Arti istituite dal governo napoleonico e alcune ebbero addirittura accesso alle mostre internazionali allestite in Campidoglio. In quella del 1809 figuravano 6 artiste su 64 partecipanti, 8 su 59 in quella del 1810. Nacquero, infine, i primi atelier al femminile in alcune delle vie più rappresentative del sistema delle arti capitolino, come la suggestiva via Margutta, famosa ancora oggi per la diffusa presenza di studi e gallerie.
Benché la mostra renda chiaramente omaggio alla creatività femminile restituendole pienamente quel riconoscimento che troppo a lungo le è stato negato, è interessante notare che i quadri scelti come apertura e chiusura del percorso, il “Ritratto di un’artista” di Pietro Paolini e “Ultimi sorsi d’autunno” di Raffaele Faccioli, siano di autori maschi.
La decisione è esteticamente ineccepibile, se consideriamo l’alta qualità di queste opere, ma sembra quasi suggerire che, quando si parla di donne, la prima e l’ultima parola spetta comunque a loro.

