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Cagna, maiala, porca, gallina, oca, papera, vacca, troia (che ha assonanze con le già citate maiala e porca) andando verso gatta morta (a questo proposito assolutamente da vedere lo spassoso ma serissimo monologo di Paola Cortellesi composto dal linguista Stefano Bartezzaghi): è evidente che nessun paragone con gli epiteti detrattori maschili (che pure esistono, ma in misura molto minore) regge rispetto alla ferocia verso le donne, paragonate alle femmine di varie specie animali in modo dispregiativo, volgare, feroce e diminuente.
Anche su alcuni passaggi fondamentali della vita umana femminile gravano ipoteche che inchiodano le donne all’animalità, intesa come il contrario della ragione, della razionalità e quindi della degnità: ancora oggi si sente dire ‘sgravare’ usando come sinonimo di partorire l’espressione utilizzata per indicare il parto delle mucche e delle cavalle, per esempio. Intendiamoci: nulla sarebbe più consono del definire con parole legate alla naturalità e animalità alcune azioni umane delle donne, come per esempio il parto e l’atto del dare la vita. Peccato che dette azioni, e in generale tutto quanto è legato ai corpi delle donne sia, religioni in testa al corteo, descritto e tramandato come impuro, peccaminoso, legato al male e alla tentazione demoniaca, come hanno bene raccontato nel loro Anatomia dell’oppressione le attiviste Femen Inna Shevchenko e Pauline Hiller.
Eppure, accanto e oltre l’odio patriarcale atavico verso la femmina umana esiste un intreccio importante, fondativo, magico, potente e misterioso che da sempre lega le donne ad altri animali.
Gatte e gatti (preferibilmente di pelo nero) non mancano quasi mai accanto alle donne, specialmente
alle femministe: le streghe insegnano. E poi come non citare il serpente tentatore, dove tutto ha inizio per la tradizione misogina dell’ebraismo e della Bibbia. Bisognerà arrivare a Gesù e in particolare a San Francesco e Santa Chiara per recuperare empatia verso gli animali, e con essi anche verso la donna.
Che dire dei draghi, draghesse, lupe e lupi con i quali correre e liberare energie spezzando le catene patriarcali?
Ma non solo felini intrecciano la vita femminile: Virginia Woolf descrisse minuziosamente il suo amore verso un cucciolo di cocker spaniel, il celebre e letterario Flush, forse il cane letterario per antonomasia. È l’inizio dell’estate del 1842 quando Flush, manto marrone tendente all’oro, coda folta, nessun ciuffo fuori posto, varca la soglia del numero 50 di Wimpole Street, a Londra, per essere regalato a una delle più grandi poetesse inglesi, la brillante e sventurata Elizabeth Barrett. Tra i due basta un’occhiata, un lampo di riconoscimento, perché nasca un’intesa. Finché, qualche tempo dopo, nella vita tranquilla di Flush entra un rivale: il poeta Robert Browning. Virginia Woolf, leggendo la corrispondenza di Elizabeth Barrett con Browning, rimane così colpita dalle descrizioni che la poetessa fa del suo cane da decidere di dedicargli una biografia. Mescolando realtà e finzione, guizzi di umorismo e lampi di autentica poesia.
Meno poesia e molti più brividi troviamo nell’affondo perturbante di Patricia Hightsmith, della quale è assolutamente centrale, per capire la forza della perfidia femminile in reazione alla violenza degli uomini, la lettura di Delitti bestiali.
La protofemminista giornalista e autrice Brunella Gasperini scrisse nel 1988 Donne e altri animali, libro che scavando nel deposito della rete potrete trovare e che rappresenta un elemento archeologico rispetto al rapporto così intenso e variegato tra le femmine umane e quelle di altre specie. Anna Maria Ortese scrisse degli altri anomali chiamandoli “piccole persone”. A chi piace il fantasy, (che annovera autrici straordinarie ben prima delle serie tv contemporanee), voglio segnalare la saga dei draghi di Pern di Anne McCaffrey, nella quale, con ben 2 trilogie e almeno altri 10 testi tutti legati tra loro con inizio a metà degli anni ‘60, si precorre la connessione tra umanità (in particolare femminile) con l’archetipo del drago, oggi molto raccontata da film e, appunto, serie tv.
Le gattofile saranno felici di poter aumentare il numero dei volumi della loro libreria con la deliziosa rassegna dal titolo Il gatto che di Lilian Jackson Braun: il protagonista si trova alle prese con due siamesi molto acuti che gli comunicano le loro deduzioni per risolvere casi spinosi di furto, omicidi e tradimenti facendo cadere libri con titoli congrui alla situazione.
Non dimenticando il saggio Donne che corrono con i lupi di ClarissaPinkola Estes e quello, fortemente politico e polemico con il consumo di carne di Carol Adams che si intitola appunto Carne da macello, nel quale si paragona la condizione di oggettivizzazione del corpo femminile alla strage non necessaria perpetrata in nome della alimentazione onnivora, e carnivora in particolare vorrei immettere anche due film non eludibili in questa carrellata.
Il primo, tratto dal testo già citato della Adams, si chiama Fresh, letteralmente fresco, una commedia thriller in cui debutta la giovane regista Mimi Cave. Il film è stato presentato in anteprima al Sundance Film Festival lo scorso 2022. Il tema di base, nonostante la patina leggera che lo ricopre, è immenso: quello della mercificazione della carne, l’abuso sulle donne, la violenza su corpi che non hanno più un’identità e la nostra impossibilità a rinunciare al piacere che la carne ci da (indipendentemente da dove arrivi).
Il secondo film meno recente, ma eterno e dal forte impatto emotivo grazie anche alla grande bellezza degli ambienti naturali è Gorilla nella nebbia (Gorillas in the Mist); realizzato nel 1988 per la regia di Michael Apted, il film è tratto dall’autobiografia di Dian Fossey (1983) interpretata dalla strepitosa Sigourney Weaver.
Forse il tratto che più rende particolare la relazione tra le donne e gli altri animali può trovare anche una chiave di lettura in questa riflessione di Diane Ackerman, in quella miniera di suggestioni che è il suo Storia naturale dei sensi: “Tutti gli animali reagiscono quando sono toccati, carezzati o colpiti; in ogni caso, la vita non si sarebbe potuta evolvere senza contatti, cioè se le sostanze chimiche non si fossero toccate formando legami. Se non possono toccare o essere toccate, le persone, indipendentemente
dall’età, si ammalano o si struggono per la frustrazione di questo desiderio. Il tatto è il primo senso che si forma nel feto; nei neonati induce reazioni automatiche prima ancora che il bambino apra gli
occhi o cominci a capire qualcosa del mondo in cui si trova. Appena nasciamo, anche se non vediamo e non parliamo ancora, cominciamo istintivamente a toccare. I corpuscoli tattili delle labbra rendono possibile poppare; i meccanismi che fanno chiudere la mano inducono a cercare calore”.
Quando accarezziamo il nostro, la nostra gatta o cane o altro compagno di vita non umano è probabile che ci stiamo avvicinando al senso più elementare e profondo della vita: quello della primogenitura della relazione gratuita, senza la quale non c’è, davvero, vera vita.