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La prima volta che ho ricevuto una “foto non richiesta del pene” ho provato un misto di disgusto e incredulità. Avevo da poco conosciuto un ragazzo su Tinder che mi sembrava abbastanza interessante, gentile e persino dotato di senso dell’umorismo. Dopo qualche giorno di conversazione sulla chat dell’app, decidemmo insieme di continuare su WhatsApp. Stavo leggendo nella mia amaca in giardino quando ho ricevuto la notifica del suo primo messaggio lì: una foto del suo pene in erezione.
Inaspettata, improvvisa e disgustosa, quell’immagine mi ha scioccata profondamente. Avrei voluto chiamarlo per gridargli che non avrebbe mai dovuto permettersi di comportarsi in un modo simile, con me e con nessun’altra, che era solo un povero sfigato, un viscido e un violento e che il suo orribile pisello avrebbe fatto meglio a tagliarselo, piuttosto. Invece l’ho bloccato, senza dirgli nulla, ma con addosso la sgradevolissima sensazione di aver subito un vero e proprio abuso.
A “deliziarmi” con un’altra immagine non richiesta di genitali è stato pochi mesi dopo uno sconosciuto su Facebook. Mi aveva chiesto amicizia fingendosi interessato a un evento che stavo organizzando ma al secondo scambio di battute mi ha inviato una squallidissima immagine del suo pisello eretto che fuoriusciva da una altrettanto squallidissima tuta. Nonostante la mia reazione di indignazione e basita perplessità, quella volta ebbi almeno la prontezza di ribattere: “Mi dispiace, faccio la giornalista, non l’androloga!” poco prima di eliminarlo dalla lista dei miei nuovi contatti.
Ho condiviso con le mie amiche l’assurda storia dei due “tizi che mi hanno mandato foto del pene a caso” e con enorme stupore ho scoperto che era successo anche a molte di loro, ad alcune più di una volta. Cercando di approfondire la tematica in rete, ho scoperto che migliaia di foto non richieste di peni viaggiano ogni secondo nell’etere per raggiungere altrettante donne, perlopiùsconosciute. Il sesto studio annuale sulle attitudini e i comportamenti di 5.500 single condotto da Match.com e ResearchNow negli Stati Uniti riferiva già nel 2016 che il 49% delle donne intervistate aveva ricevuto foto non richieste dei genitali da parte di uno sconosciuto e l’anno seguente uno studio di YouGov rivelava che il 27% dei Millennials americani (nati tra il 1981 e il 1996) aveva inviato almeno una dick pic nella sua vita.
Diverse ricerche hanno nel tempo dimostrato che il fenomeno è esclusivamente maschile perché gli uomini tendono a essere sessualmente più reattivi agli stimoli visivi rispetto alle donne che, invece, generalmente provano disgusto, rabbia, vergogna e sentono di subire una molestia quando ricevono questo tipo di immagini.
Ma cosa spinge gli uomini a farlo? Credono davvero di poter attirare l’attenzione di una donna con un gesto così abusante, unilaterale, patetico e totalmente controproducente anche a livello seduttivo? Sperano, forse, che la destinataria risponda con foto altrettanto esplicite del proprio corpo? O intendono, piuttosto, generare in lei disgusto, paura e rabbia? Infine, sono consapevoli di agire una forma di molestia sessuale?
"L'invio di una dick pic (dall’inglese abbreviato “dick picture”, ndr) può essere visto come un tentativo di sperimentare una forma di connessione e intimità a basso rischio”, ha spiegato in un’intervista la psicologa Sarah Davies, esperta di dipendenze e traumi. "Qualcosa per cui tutti abbiamo un desiderio profondo, umano. Ma, in questo modo, può essere protetto dietro una forma fisica molto maschile, senza il rischio di essere troppo vulnerabili emotivamente. Un elemento di paura del rifiuto è naturale, ma se quel rifiuto è in risposta a un pezzo di carne forse è più sopportabile del rifiuto che riguarda una parte più significativa della sua identità".
In “DTR – Define The Relationship”, il podcast prodotto da Tinder che affronta il tema delle relazioni nel mondo moderno, la pratica viene definita “inspiegabilmente comune ma con obiettivi incerti” quando si verifica in un contesto diverso da un’interazione di natura erotica tra due persone che flirtano consensualmente attraverso messaggi espliciti o fanno sexting.
Il professore di psicologia di Harvard Justin Lehmiller nel suo blog Sex&Psycology ha dedicato all’argomento un intero articolo. “Tale comportamento è una variante dell'esibizionismo”, scrive. “Sebbene la maggior parte delle persone pensi all'esibizionismo in termini di uomini che si mostrano a sconosciuti nella metropolitana o in un parco, comportamenti simili possono verificarsi anche online o al telefono. Indipendentemente dal contesto in cui accade, gli esibizionisti trovano eccitanti le reazioni scioccate. Questo è legato al fatto di avere scarse capacità sociali e interpersonali, perciò alcuni psicologi ritengono che le tendenze esibizionistiche si sviluppino in seguito all'incapacità di stabilire relazioni in un modo più convenzionale”.
Lo studio I'll Show You Mine so You'll Show Me Yours : Motivations and Personality Variables in Photographic Exhibitionism pubblicato nel 2019 su The Journal of Sex Research ha provato a delineare la personalità e le motivazioni di chi invia foto non richieste del proprio pene analizzando un campione di 1.087 uomini, cisgender, eterosessuali. Il 48% di loro (523 persone tra i 16 e 75 anni) ha dichiarato di aver inviato almeno una dick pic nella vita.
Ai partecipanti è stato chiesto di compilare il Narcissism Personality Inventory Scale, un questionario che rivela i tratti di narcisismo sub-clinico, e il Sexual Opinion Survey, un altro questionario che determina il grado di erotofilia o erotofobia, ossia atteggiamenti positivi o negativi nei confronti del sesso o di alcuni suoi aspetti. Infine, è stato chiesto loro di rispondere all’Ambivalent Sexism Inventory, un formulario che evidenzia forme di sessimo sia in forma volutamente denigratoria sia in forma “benevola”. I risultati ottenuti hanno confermato che il fenomeno delle dick pics è collegato sia al narcisismo sia al sessismo, nei suoi due aspetti, e che una certa tendenza all’esibizionismo, chiaramente presente in chi espone i propri genitali a una sconosciuta, possa essere correlata a sentimenti negativi nei confronti di alcuni aspetti della sessualità, a una maggiore insicurezza o a timori nei confronti dell’atto sessuale.
Quanto alle motivazioni personali, il 43,6% degli intervistati ha confermato di agire nella speranza di ricevere in cambio un’immagine altrettanto esplicita mentre il 32,5% lo fa per avvicinare una potenziale partner, sperando di suscitare in lei interesse o eccitazione (82%). Il 50% di loro immaginava che la destinataria si sentisse desiderata per il fatto di ricevere quel messaggio, evidenziando un possibile bias cognitivo che spinge molti uomini a supporre che chiunque reagirebbe come loro, ossia provando eccitazione alla vista dei genitali altrui a prescindere dall’aver espresso o meno il desiderio di vederli. Una parte significativa dei partecipanti ha dichiarato, infine, di agire con l’obiettivo di suscitare una reazione negativa, prevalentemente shock (17%), paura (15%) o disgusto (11%), confermando che questa pratica sia da considerare una vera e propria molestia sessuale.
“Chi invia queste foto non cerca affatto di interessare la sua interlocutrice ai propri genitali”, chiarisce Lorenzo Gasparrini, filosofo femminista e attivista antisessita intervistato da Medfeminiswyia. “È, piuttosto, una forma di violenza che rientra nel cosiddetto cameratismo: è un modo per rassicurarsi di una certa identità maschile perché ci si sente di poter fare qualcosa, esibendo la parte più evidente e ineludibile della propria maschilità a chi si vuole, al di là della reazione della destinataria, che è quasi ininfluente. È la stessa dinamica che anima gli alpini che una volta l’anno tengono in ostaggio una città: non hanno alcun interesse sessuale nei confronti delle donne che molestano ma stanno dicendo al proprio commilitone: ‘Vedi? Sono maschio anche io come te!’. In questo ambito di comportamento rientrano una serie di molestie che hanno lo scopo di rassicurarsi l’un l’altro che l’identità di genere è protetta e condivisa. Mi riferisco anche ai gruppi di uomini che si scambiano foto di donne e commenti sessisti: usando come si vuole l’immagine di una persona si conferma il proprio potere di farlo”.
Alcune donne hanno reagito in modo ironico e creativo a questi abusi, evidenziandone il lato più patetico e ridicolo e rovesciando in parte la prospettiva. Tra loro c’è Madeleine Holden, una scrittrice che vive in Nuova Zelanda a cui, dopo centinaia di bruttissime foto non richieste di peni, ne è stata inviata una da lei stessa definita "di alta qualità". Da allora ha creato il blog “Critique My Dick Pic” in cui offre un'analisi critica di qualsiasi immagine di pene le venga inviata. "Il sito era un modo per dare a una donna l'ultima parola a riguardo", ha spiegato in un'intervista. "Spesso, come donne, ci vengono inviate queste cose senza alcun riguardo per ciò che proviamo, quindi 'Critique My Dick Pic' è stato un modo ironico per riguadagnare un po' di quel controllo”.
Holden riceve ogni mese tra le 250 e le 500 email da sconosciuti e le commenta in base ai loro reali meriti fotografici, tenendo conto di fattori tecnici e artistici, come illuminazione, composizione, inquadratura e posa, senza però mai giudicare le condizioni del corpo del mittente o le dimensioni dell’organo. “È nato come un progetto di body positivity, iniziato come un hobby ma oggi è un lavoro che costituisce una parte significativa delle mie entrate”, racconta. “I soldi provengono da chi vuole una recensione sul sito ($25) e da coloro che desiderano una recensione privata perché non vogliono che le fotografie dei loro peni fluttuino in rete ($10). Scrivo e parlo anche delle varie implicazioni filosofiche e pratiche delle dick pics, e talvolta sono anche pagata per farlo”. Benché il suo sia un progetto nato “a cuor leggero”, il punto fondamentale per lei è continuare a sottolineare che “una buona foto del pene funziona solo quando la destinataria ha chiesto o accettato di vederla”.