Laura Onofri
La legge 194 del 1978 sull’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) è una delle leggi italiane che maggiormente esprime l’autodeterminazione delle donne. Forse proprio per questo è stata sin dalla sua nascita osteggiata e ostacolata, al punto da essere sottoposta a referendum abrogativo nel 1981. Ma le donne, e non solo loro, hanno votato in massa per mantenerla.
La legge stabilisce che solo la donna può decidere di interrompere la gravidanza nei primi 90 giorni, senza interferenze e condizionamenti e che, come prevede l’art. 5, il padre (o presunto tale) del concepito non può in alcun modo intromettersi in questa scelta: la sua presenza nel consultorio o nella struttura sanitaria è sempre subordinata al consenso della donna.
La 194, come è chiamata per brevità questa legge, ha dunque assestato un duro colpo al patriarcato, perché l’autodeterminazione delle donne è il più acerrimo nemico del patriarcato: sui corpi delle donne e sulle loro libere scelte si è sempre consumato il conflitto fra donne e uomini e la loro affermazione di supremazia e possesso.
È questo uno dei motivi per cui la legge, ancora oggi, e forse ancora più di quando è entrata in vigore, viene messa in discussione, contrastata, a volte negata, con il chiaro intento di indebolirla, non potendo abrogarla, scelta che sarebbe assolutamente impopolare.
Gli ostacoli disseminati nel percorso dell’IVG sono tanti: molti creati ideologicamente da chi la avversa, altri dalla burocrazia, dalla carenza di informazioni, dall’uso, spesso strumentale, del ricorso all’obiezione di coscienza.
Ispirandosi all’Ungheria di Orban, associazioni antiabortiste hanno raccolto firme per far approvare dal Parlamento una legge per modificare l’art. 14 della legge 194 e obbligare i medici a far ascoltare il battito del feto con lo scopo di colpevolizzare le donne che scelgono di abortire. Una proposta definita “contraria all’etica e alla scienza” dall’Ordine dei Medici di Torino che ha preso pubblicamente posizione con il documento firmato dal presidente Guido Giustetto.
“L’iniziativa – scrive Giustetto – ci preoccupa molto, sia dal punto di vista etico e deontologico, sia dal punto di vista scientifico. Il codice di deontologia medica, infatti, in ben quattro diversi articoli (4, 6, 13 e 16) vieta al medico di prescrivere ed eseguire indagini o trattamenti la cui indicazione non abbia fondamento scientifico e motivazione clinica. Quindi effettuare questa indagine, del tutto inappropriata, sarebbe contrario ai principi di etica medica”.
Lo stesso ha fatto l’Ordine dei medici chirurghi e odontoiatri della provincia di Belluno (OMCEO) che ribadisce che non c’è nessun fondamento scientifico nell’obbligatorietà degli esami che la proposta di legge vorrebbe imporre e quindi ciò esime, anzi vieta al medico di eseguirli.
Anche sul piano tecnico, l’Ordine di Belluno sottolinea che, come ben argomentato da alcune società scientifiche internazionali, questo esame potrebbe procurare un potenziale danno al feto poiché l’unico modo per sentire il battito cardiaco fetale nel primo trimestre di gravidanza è quello di utilizzare degli ultrasuoni che aumentando la temperatura potrebbero danneggiare il cuore nella sua delicata fase di formazione.
A ogni nuova legislatura poi, parlamentari vicini ai movimenti no choice ripresentano una proposta di legge per riconoscere la capacità giuridica del concepito che porterebbe di fatto a un rischio penale per chi pratica l’aborto volontario e per chi lo esegue.
Il problema più conosciuto e su cui spesso si concentra l’attenzione dei media è quello dell’obiezione di coscienza che in alcune regioni, come ad esempio l’Abruzzo, la Basilicata, la Sicilia, di fatto impedisce di interrompere la gravidanza nelle strutture del territorio costringendo le donne a fare lunghi viaggi per trovare accesso in altre regioni.
L’obiezione di coscienza del personale sanitario si incontra non solo nel momento delle procedure specificatamente e necessariamente dirette a determinare l’IVG, ma spesso anche nel rifiuto, illegittimo, di rilasciare il certificato che attesta la gravidanza e la volontà della donna di abortire, nonostante la legge all’art. 9 sia chiara su questo punto: non può sollevare obiezione di coscienza il personale sanitario che si occupa dell’assistenza antecedente e successiva l’aborto.
Così come a volte viene sollevata “obiezione di coscienza di struttura”: l’ospedale o la clinica cioè non fornisce servizio IVG pur essendo una struttura pubblica o privata accreditata.
Di nuovo l’art. 9 della legge chiarisce che può sollevare obiezione di coscienza solo il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie, mentre gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti ad assicurare il servizio di IVG. Se la struttura è impossibilitata per qualche motivo a svolgere il servizio deve inviare la donna in un’altra struttura dove questo sia possibile e verificare che venga presa in carico.
Ma sono tanti altri gli ostacoli che le donne incontrano quando decidono di abortire.
Essendo la sanità in Italia materia che è delegata alle Regioni, le difficoltà e le barriere da superare sono diverse da regione a regione. Le attiviste femministe di Pro choice - Rete italiana contraccezione aborto e dei gruppi di auto mutuo aiuto presenti su varie piattaforme hanno stilato un elenco costruito partendo dalle centinaia di storie reali di donne che trovano difficoltà ad abortire. Da qui è nata la guida che aiuta le donne in questa corsa ad ostacoli.
IVG senza ma. La tua scelta zero ostacoli non è solo una guida informativa per sapere come funziona l’interruzione volontaria di gravidanza in Italia, ma anche uno strumento concreto per reagire ai disservizi, all’abbandono istituzionale e ai soprusi.
La guida contiene anche modelli di lettere o di esposti da utilizzare quando ci si imbatte in disservizi e in pratiche o richieste non previste dalla normativa che regola l’IVG ed è frutto del lavoro collettivo di attiviste, giuriste, ginecologhe e antropologhe.
Si spiega che l’interruzione volontaria di gravidanza è qualificata come prestazione sanitaria essenziale del Servizio sanitario nazionale, di natura indifferibile e che la disciplina della legge 194 è integrata dalle leggi generali in materia sanitaria di Stato e Regioni e dagli atti del Ministero della Salute.
Lo Stato ha l’obbligo di garantire la prestazione, come previsto dalla legge 194/78 e dalle disposizioni di dettaglio, assicurando un aborto libero e sicuro senza alcuna discriminazione su base territoriale e senza ritardi, poiché la letteratura scientifica chiarisce che l'incidenza di complicazioni aumenta con l'aumentare dell'età gestazionale e dunque i ritardi minano la salute della donna. Inoltre la “nascita indesiderata” è fonte di responsabilità civile e di risarcimento di danno a carico delle strutture e dei sanitari.
La legge 194 non può entrare nel merito di ogni singolo caso di richiesta di IVG e non può prevedere quale sia l’eventuale accertamento medico necessario per effettuare la procedura in casi particolari. Per questo oltre che alla legge 194 e alle leggi in materia sanitaria è necessario fare riferimento alle Linee Guida dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS), che costituiscono parametri comportamentali “raccomandati” per la concreta applicazione della legge basati su studi ed evidenze scientifiche. Per questo è fondamentale che siano recepite, verificandone l’effettiva applicazione da parte del Ministero della Salute.
Sono tantissimi i casi contemplati nella guida, dalla richiesta di documentazione e indagini preliminari non necessarie che finiscono per aumentare il costo della procedura, alla negazione della scelta del metodo – chirurgico o farmacologico – per interrompere la gravidanza.
Per una complessità di motivi legati a mancanza di formazione del personale, inerzia delle strutture sanitarie o vero e proprio boicottaggio istituzionale, spesso il metodo farmacologico non è disponibile in modo omogeneo in tutte le strutture sanitarie. Inoltre, solo alcune Regioni hanno applicato le linee di indirizzo ministeriali dell’agosto 2020 che prevedono la somministrazione dei farmaci abortivi anche in consultori e ambulatori autorizzati.
Questo insieme di fattori fa sì che in Italia la media del ricorso al metodo farmacologico sia molto inferiore ad altri paesi europei, contrariamente a quanto raccomandato dall’OMS, che ne incentiva l’uso anche in telemedicina, senza sottovalutare il fatto che è un metodo sicuramente più sicuro ed economico.
Altro esempio è il ricorso al raschiamento dell’utero o curettage per procedere all’aborto, estremamente sconsigliato dall’OMS perché comporta un maggior rischio di complicazioni, ma ancora praticato, come si apprende dalla Relazione più recente del Ministero della Salute sulla applicazione della legge 194 (dati 2021), nell’8% delle IVG chirurgiche.
Anche il ricorso alla telemedicina per avere il documento che attesta lo stato di gravidanza e la volontà della donna di abortire, dopo il consulto con il personale medico via web, è ancora osteggiato in alcune strutture benché sia previsto dall’accordo nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni “Indicazioni nazionali per l’erogazione di prestazioni in telemedicina”.
Un altro problema è il seppellimento del prodotto abortivo. L’interruzione volontaria di gravidanza, in quanto dato personale relativo alla salute, è soggetta a una tutela rafforzata del diritto alla riservatezza e al divieto di trattamento senza consenso, ma purtroppo sono venuti alla luce molti casi di “cimiteri di feti” in cui compaiono le generalità delle donne e le date degli aborti.
La gestione di feti e prodotti del concepimento normalmente non viene menzionata nella documentazione relativa al consenso informato che le pazienti devono firmare, né viene discussa dal personale sanitario, per cui le donne spesso non sanno nemmeno di poter scegliere. Nella guida viene spiegata la legislazione in materia di sepoltura di feti e cioè che il feto può essere seppellito solo su richiesta di chi ha abortito se l’aborto è avvenuto entro la 20° settimana.
Dopo la 20° settimana il feto viene comunque seppellito, e chi ha abortito può decidere di non farsi carico della sepoltura, ma rimane il divieto per l’Azienda sanitaria di riportare le generalità “in chiaro” sulle autorizzazioni al trasporto e alla sepoltura e sui certificati medico legali, usando invece l’oscuramento dei dati identificativi della persona che ha abortito o la cifratura dei dati.
Una parte della Guida è dedicata ai diritti e alle specificità dell’iter per le persone straniere a cui il Testo Unico Immigrazione (TUI, decreto legislativo 286/1998) garantisce la figura della mediatrice linguistico-culturale per favorire l’integrazione, che però non sempre è disponibile nelle strutture sanitarie dove si pratica l’IVG.
Infine una parte è dedicata alle persone trans e non binarie: uno dei più grandi ostacoli che le persone transgender incontrano quando vogliono abortire, infatti, è la mancanza di informazioni e di formazione del personale medico-sanitario, oltre che la quasi totale mancanza di considerazione delle specificità riguardanti la loro salute e il loro benessere.
Se oggi, a fronte di tutti questi attacchi alla legge 194, la scelta di interrompere una gravidanza in modo libero e sicuro è ancora possibile, lo dobbiamo alle attiviste, alle ginecologhe pro-choice, ai gruppi di mutuo auto-aiuto che assistono le donne, online su varie piattaforme, per superare tutti gli ostacoli e disservizi disseminati sulla strada della libertà di scelta delle donne.