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«È fondamentale evitare il rischio di annullare tutti i progressi fatti sino ad ora sul terreno della eguaglianza tra i sessi, nella società e nel mercato del lavoro» si legge in un documento prodotto in Italia da Noi rete donne come contributo al prossimo G20.
Pur tra le differenze di visione e di lettura del fenomeno della globalizzazione e le differenti pratiche politiche tutti i gruppi di donne dentro e fuori le istituzioni in Italia concordano su due punti: il primo è la consapevolezza del balzo in avanti del divario tra uomini e donne causato dalla crisi pandemica, il secondo è che a causa di questa consapevolezza sono proprio i gruppi di donne ad avere pensato alle soluzioni più efficaci per uscire in modo equo da questa spaventosa emergenza.
Laura Cima, ecofemminista storica, autrice tra gli altri del libro L’ecofemminismo in Italia-le radici di una rivoluzione necessaria, guida un gruppo che si chiama ecofemminismo e sostenibilità dentro la rete Dalla stessa parte e afferma: «La crisi che viviamo è una enorme possibilità di riposizionare le priorità politiche ed economiche a livello nazionale e globale. Abbiamo visto a cosa porta, in termini di perdita di vite umane e di aumento del disagio sociale, l’avere disinvestito il denaro pubblico dalle tre grandi priorità di un paese civile, ovvero la sanità, la scuola e la prevenzione della violenza maschile sulle donne».
Ora è qui che si devono usare le risorse pubbliche per uscire dalla crisi”.
In Italia le donne rappresentano il 70% della forza lavoro nelle professioni sanitarie e che per questo sono più a rischio dal punto di vista della salute. E, se come è vero, le donne sono protagoniste delle azioni di risposta alla pandemia, è altrettanto vero che ne sono le anche le più colpite, anche a causa delle misure di lockdown che hanno avuto effetti nefasti su settori a prevalente occupazione femminile, come il turismo, l’ospitalità, la ristorazione, le scuole, ma anche in quelli dell’economia informale. Noi Rete donne condivide anche la necessità di promuovere una road-map per il rilancio degli obiettivi di Brisbane per la riduzione del differenziale di genere nella partecipazione delle donne al mercato del lavoro. E chiede azioni mirate e misure di sostegno e incentivazione che rafforzino e stimolino il protagonismo delle donne nei ruoli decisionali della politica, delle amministrazioni pubbliche, delle imprese e della società civile, insieme all’aumento delle donne nella governance e alla messa in atto di una rapida digitalizzazione del paese che elimini al più presto il gender divide tecnologico.
La rete femminista Half of it propone una serie di azioni immediate per il dopo covid19: tra queste l’incremento degli asili pubblici per il 60% dei bambini/e da 0 a 3 anni con uno stanziamento di 8 miliardi di euro e la loro realizzazione entro i prossimi 5 anni. Servizi territoriali di assistenza e sanità per gli anziani e le persone disabili e non autosufficienti, con uno stanziamento di almeno 4 miliardi di euro e la loro realizzazione entro i prossimi 5 anni e infine cashback per le famiglie sulle cifre spese per i servizi di cura e assistenza, dal momento che il cashback favorirà l’emersione dell’enorme massa di lavoro nero legata alla cura. una proposta condivisa da tutti i gruppi italiani sono le azioni forti e globali per favorire la condivisione della cura dei figli di entrambi i genitori, come il prolungamento dei congedi parentali per i padri e che il 100% dell’indennità obbligatoria di maternità sia a carico della fiscalità generale.
Una particolare attenzione è puntata sulla scuola, dove si chiede l’attuazione del tempo pieno nelle scuole, in tutti i settori educativi con l’aumento delle ore di educazione civica, con particolare attenzione per l’insegnamento dei valori di uguaglianza e inclusività, per vincere bullismo, violenza, discriminazione di genere, razza, religione, orientamento sessuale, nonché per l’insegnamento dell’educazione finanziaria.
Secondo il documento di proposta del gruppo Ecofemminista di Lecce, in Puglia, una delle regioni più ricche del sud Italia, “il contributo delle donne alla transizione ecologica ed alla “rivoluzione verde” deve partire innanzitutto dalla necessità di rivedere il concetto di sostenibilità che, nei documenti ufficiali del governo, ha spesso perso qualunque riferimento ai corpi di quegli esseri viventi che dovrebbero trarre beneficio dalla stessa transizione. Nominare i corpi vuol dire ridare centralità ad un obiettivo realmente sfidante nella transizione ecologica: nessun essere vivente deve essere escluso dai benefici della rivoluzione “verde”, nessun essere e nessun luogo dovrà essere trascurato, in questa rivoluzione devono esserci solo vincitori e nessun vinto.
Ridare valore ai corpi vuol dire anche modificare il linguaggio dei documenti ufficiali. La lotta alle disuguaglianze e l’accesso equo ai beni comuni impone il ripensamento anche della strategia per la transizione energetica. Gli scienziati che sono riusciti a coniugare ecologia e crescita, tutela delle risorse naturali e sviluppo ci hanno insegnato che l’unica vera transizione ecologica passa dal riconoscimento di un principio fondamentale: l’energia deve essere prodotta quanto più vicino possibile al luogo nel quale verrà utilizzata. A questo è necessario aggiungere che la produzione di energia deve coniugarsi con la salute delle comunità, con la minimizzazione della produzione di scorie, che la fonte energetica più a buon mercato per noi è il sole e che l’uso efficiente delle risorse disponibili impone che il calore provenga dall’energia termica e non dall’elettricità. Quindi: bene alla incentivazione delle comunità energetiche ed all’autoconsumo individuale. Ma sostanziamo queste parole con progetti realmente sostenibili. Ogni casa dovrà esser ristrutturata o realizzata per arrivare al consumo zero e contenere le attrezzature per produrre energia in maniera razionale; è necessario finanziare la ricerca sulla realizzazione di materiali da costruzione dagli scarti, meglio se organici. È necessario dare centralità alle vite e riproporre questa componente ripensandola in termini di pari opportunità di accesso all’acqua potabile, ad un territorio salubre, vivo e sicuro, di salvaguardia degli habitat che garantiscono il mantenimento della biodiversità terrestre ed acquatica.
In definitiva la rivoluzione “verde” per definirsi tale deve essere anche democratica, equa, rispettosa dei corpi e delle differenze tra gli esseri viventi. Deve confrontarsi con il concetto di entropia e con quello del limite: maggiore è il numero di trasformazioni che un sistema subisce per passare da uno stato inziale ad uno stato finale, maggiore è lo spreco di risorse che questo passaggio comporta.
Una rivoluzione ecologica reale deve partire da questi principi e sostenere ed incoraggiare le piccole comunità nella ricerca di pratiche di autosostentamento, di riduzione dei consumi, di uso razionale dell’energia e delle risorse non rinnovabili. Deve privilegiare le reti di trasporto energetico corte, le filiere corte di produzione; deve assecondare i cicli vitali della terra piuttosto che contrastarli; deve combattere la siccità e le alluvioni incrementando la capacità autorigenerativa della terra, tutelando la permeabilità del suolo, il potere delle piante di ridurre il riscaldamento globale, la naturale biodiversità degli ecosistemi.